Molte delle sculture conservate nella Certosa Monumentale di Bologna sono capolavori assoluti dell'arte funeraria. Io sono sempre stato attratto dal loro fascino, in special modo da quello delle statue ottocentesche, e vi ho sempre letto sentimenti di disperazione edi angoscia. Ultimamente però mi sono ritrovato a fotografare in Certosa con una macchina fotografica che non lascia spazio alla superficialità ed alla fretta. Si tratta di una Linhof Technika degli anni quaranta, una folding che permette di lavorare come con un banco ottico, anche se con minore versatilità. Le fotografie vengono impressionate su pellicole piane di grandi dimensioni (10x12 cm) sviluppate singolarmente. Questo permette di scegliere i parametri espositivi e le tecniche di sviluppo per ogni scatto, e costringe contemporaneamente a riflettere a lungo prima di scattare la fotografia, sia per la scelta del tempo e del diaframma, sia specialmente per la scelta dell'inquadratura e dei movimenti di obiettivo e dorso.
Tutto questo mi ha indotto a riconsiderare l'ambiente della Certosa e i messaggi che le sculture suggeriscono. Un po' alla volta mi sono reso conto che in quelle opere non ci sono dolore, angoscia e disperazione, ma quello che traspare è soprattutto una grande serenità e, spesso, addirittura una gioia inaspettata. Quasi tutte le statue sorridono. Alcune di loro ridono anche. Si contano sulla punta delle dita quelle che rappresentano il defunto nel suo stato mortale. Moltissime lo rappresentano vivo e sereno o sono allegorie che hanno assonanze con la sua vita terrena. Più passavo il tempo in quelle sale e in quei chiostri, più si allontanava da me l'idea della morte e si faceva strada quella della gioia di vivere. Ho abbandonato cosi tutti gli altri soggetti delle mie fotografie e mi sono dedicato totalmente, quasi quotidianamente, a fotografare le opere custodite nella Certosa Monumentale, entrando nei dettagli delle sculture e cercando di interpretarne i messaggi nascosti. Non ho fatto una ricerca storico artistica, non ho lavorato con metodo scientifico, mi sono invece lasciato andare alle sensazioni emotive immediate e, per cosi dire, ho lasciato che le statue si fotografassero da sole. Alcune mi hanno aiutato, altre si sono opposte in tutti i modi possibili. Infatti a volte ho sbagliato vistosamente inquadratura, o scelta dei valori di esposizione, o tecnica espositiva, e le fotografie sono risultate incredibilmente affascinanti e perfette, a volte ho ripetuto lo stesso scatto senza ottenere risultati apprezzabili.


 

 

 

 

 

 

 

 

Un episodio per tutti è particolarmente curioso. Ho fotografato spesso la statua della tomba Minelli, opera di Carlo Monari, con questi risultati: la prima volta l’immagine non è risultata a fuoco; nella seconda fotografia la testa è venuta "tagliata"; un'altra volta ho sbagliato a inserire lo chassis nella macchina e l'immagine si è sovrapposta ad un'altra, risultando illeggibile; un'altra ancora, mentre scattavo, la testa del cavalletto, fissata male, ha ceduto e la macchina si è inclinata lentamente determinando una fotografia mossa, illeggibile.

L'ultima volta, l'unica in cui il risultato era soddisfacente, in camera oscura il negativo ancora bagnato è caduto a terra e si è segnato su un lato. Saranno sicuramente tutti casi fortuiti, ma per me è la Minelli che non vuoi farsi fotografare!
Infine la particolare tecnica di stampa ha aiutato a raggiungere gli obiettivi che mi sono prefissati. Non è una stampa tradizionale, ma è un misto di disegno e fotografia che si riesce ad ottenere solo su carte particolari, spesso emulsionate a mano in camera oscura. Ogni foto è quindi irripetibile e la sensazione nel produrla è simile a quella che si ha quando si dipinge. In alcuni casi per ottenere una fotografia sono state necessarie parecchie ore o addirittura giorni, quando lo richiedeva il tempo di essiccazione della carta emulsionata.

Per un puro caso poi, mentre stampavo queste fotografie, mi sono trovato a leggere il "Cantico dei Cantici", meraviglioso poema d'amore della Bibbia. Ho notato così strane assonanze fra le immagini delle mie fotografie e i versetti del poema. Con una lettura più attenta ho allora raccolto un certo numero di stampe e le ho messe in relazione con i versi. Non si tratta di commenti didascalici. A volte le immagini seguono la descrizione dei versi, a volte sono delle specie di controcampi o di inquadrature "soggettive", a volte hanno in sé solo una lieve assonanza con la poesia. Sta al lettore trovare, se ci sono, i nessi fra le immagini e i testi.

Mi piacerebbe che questo mio lavoro fosse considerato per quello che vuole essere: un tentativo di accostare poesia, arte e fotografia per trarne sensazioni del tutto personali, il cui valore è indubbiamente soggettivo, e non assoluto. Di mio c'è solamente un grande amore per queste cose.